Concreta. Potente (artisticamente). Irriverente. Non conformista. .ЯƎ è una mostra autoriale della Fondazione Federico II che ha l’intento di spalancare le porte, nell’era del virtuale, a riflessioni sulla “realtà reale” per una rinascita collettiva. SEDICI artisti, SEDICI personalità culturali differenti dell’arte contemporanea che, dagli anni Sessanta ad oggi, si sono fatti interpreti della nostra epoca.
.ЯƎ non è un racconto univoco, al contrario, accoglie le differenti e complesse visioni dell’arte e della realtà. VENTOTTO opere in mostra che enfatizzano lo stupore e la meraviglia nel mondo per non essere sopraffatti dalle ferite dei nostri tempi quali la disumanizzazione dilagante, le guerre, la pandemia.
L’allestimento presso le Sala Duca di Montalto, a Palazzo Reale fino al 31 ottobre, evita ogni scorciatoia tipica dei fondamentalismi per accogliere la ricchezza delle differenze contro una lettura che ammette un solo linguaggio, una sola voce, una singola storia.
Opere che adottano la linea di un UMANESIMO preparatorio e si aprono a nuove fasi di RINASCIMENTO. Alberto Burri, Saint Clair Cemin, Tony Cragg, Zhang Hong Mei, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Sol LeWitt, Emil Lukas, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Tania Pistone, Andres Serrano, Ai Wewei e Gilberto Zorio. Artisti che, a proprio modo, hanno travalicato le sclerotizzazioni delle visioni del mondo, recuperando il senso profondo tra arte e concetto, tra concetto e parola, tra visione individuale e collettiva, tra atroce e banale, tra etica e critica sociale. Artisti che hanno, certamente, il merito di avere concepito l’arte come leva di resistenza ad una civiltà connotata spesso dalla semplificazione tanto da ridurre, talvolta, l’arte a rappresentazione effimera della realtà. .ЯƎ sta per REALTÁ REALE nel senso di un approccio di .ЯƎconstruction, .ЯƎbirth, .ЯƎboot, .ЯƎnaissance ossia nel recupero di una modalità di esistenza non omologata e contraddistinta da una scelta attiva e consapevole nel viaggio della vita. Un posto speciale in mostra lo occupano tutte le opere. La Fondazione Federico II, anche questa volta, non poteva però tralasciare, pur guardando ad un orizzonte internazionale, il legame con la propria terra. Il Grande Bianco Cretto in mostra, quindi, Burri, rimanda il visitatore all’elaborazione di un lutto per le ferite del suolo.
L’opera ridona energia all’idea di una terra siciliana che deve superare le macerie del passato per stimolare un’azione di rigenerazione stendendo velari sulla terra, percorrendo le crepe della storia e di eventi nefasti per renderli abitabili; per riusare la materia povera e renderla vitale. Arte che diviene azione stendendo velari vivificanti sulla terra ma anche attorno ai corpi e alle nostre vite com’è il caso di Zhang Hong Mei per muoversi nella direzione opposta della disumanizzazione del post umano di una Human conditions, titolo dell’opera, allestita in mostra dall’artista contro lo smarrimento delle libertà fondamentali. Per riaffermare la forza viva di costruzioni culturali ispirata ad alleanze per la difesa dell’arte e dell’uomo contro contro ogni forma asfittica di sovrastruttura sociale disumanizzante: come nel caso dell’artista Ai Wewei. In mostra con Sunflower Seeds.
Opera che esprime la denuncia di uno sviluppo economico che sacrifica culture millenarie di un popolo e delle testimonianze di un’arte antica prestigiosa e raffinata. Estetica contemporanea che con Ai Wewei diviene strumento di lotta per i diritti civili e per la libera e creativa espressione artistica. All’opera Sunflower Seeds fa da sfondo Finger per dichiarare che la vita offesa richiede la contrapposizione di gesti ed espressioni forti. La scelta compiuta delle opere in mostra diviene .ЯƎstituzione della cura che compie
l’arte per il risanamento di vulnus dell’uomo e della storia. Gli atroci fatti di guerra che viviamo hanno indotto la Fondazione Federico II a guardare con attenzione all’arte acuta di Anselm Kiefer. L’artista che procede dalle ferite della storia che possono divenire, irreversibilmente ancora oggi, ferite sanguinanti dell’Umanità. Un aut-aut espresso dall’artista non più rivolto alla rappresentazione alla realtà ma al piano reale di ciò che ha prodotto il nazismo contro la carneficina operata e l’oltraggio della vita, derivanti da fondamentalismi del pensiero e iper-individualismi folli. Nelle due opere in mostra si leggono chiaramente le tracce della violenza per rinverdire la memoria di errori ed orrori che non possono e non devono essere dimenticati. Un’arte che può provocare turbamento. Opere che fanno i conti con un passato che deve essere ricordato nella sua atrocità dalla coscienza collettiva. .ЯƎ intende accendere la luce anche su questi temi terribilmente attuali. Tra le VENTOTTO opere in mostra vi sono anche sculture che focalizzano il dibattito nell’arte del rapporto tra materia-forma. Scultura intesa non come monumentalità morte e inerti. Pistoletto, in mostra, con la Venere degli stracci, la sfera dei giornali e Autoritratto con quaderno Terzo Paradiso trasmette una dimensione artistica ponendo la scultura “in condizione di instabilità, di mancanza di controllo, per risuscitarla e risvelarla”.
La sfera dei giornali e la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto
Contro il gioco di pochi che inventano le regole del gioco per l’intera Umanità egli reagisce con un’opera in cui il mondo si pone in relazione e scopre l’altro da se. Lo specchio diviene lo stratagemma creativo e critico per fare entrare il mondo in contatto, in correlazione. L’autoritratto, in mostra, è in realtà l’autoritratto del mondo. La scultura Skull di Tony Cragg misura la visione dello spettatore con una installazione in cui si condensa la duplice attenzione dell’artista per la materia e per la sua cancellazione. Un’attenzione dell’artista Tony Cragg per la materia e per i materiali correlata all’idea di trasformazione che non è da intendersi imposizione di una forma. Materia che, per mano dell’artista, si trasforma in energia. Skull sprigiona energia da ciò che non è visibile. Realizzata in alluminio vive lo spazio di Sala Duca di Montalto regalando un dinamismo straordinario nella sua grandezza di centonovanta centimetri.
Sculture che de-gerarchizzano i materiali e danno vita a nuove entità artistiche rispettando le lezioni della natura. Ci riferiamo all’opera di Saint Clair Cemin, Sphere, scultura in marmo, che con un linguaggio iconico di influenze sospese tra antico, moderno e contemporaneo, mira a cogliere, oltre il visibile, per sorprendere con un linguaggio scultoreo in divenire. Sphere è l’esito altissimo della combinazione di una forma che guarda alla cultura contemporanea pur accogliendo la lezione delle tecniche tradizionali.
Arte da cui scaturiscono forme sensuali e iconiche contese tra l’astratto e il figurativo. Oltre i confini, tra pittura e scultura, per connettersi alla sperimentazione della materia e della sua trama, l’opera Blue Heart #0987 di Emil Lukas. Opera segnata da una moltitudine di segni che si affastellano e si intrecciano fino a confondersi. Caos e Cosmo convivono nell’opera in una visione in cui lo sguardo dell’artista e del fruitore sono protagonisti. Dallo schema intricato e ossessivo di segni, che ci pongono dinanzi al mutamento complesso della materia. Vocazioni artistiche che superano i limiti imposti dalla tradizione. Fare arte per riscoprire il significato rigenerativo di elementi mitici, che divengono bussola del nostro viaggio nel mondo: il poverismo di Gilberto Zorio, in mostra con Monotype, si apre ad una nuova sensibilità artistica che esalta l’idea del “vivere in arte” in opposizione all’idea di “fare arte”. Arte povera che guarda direttamente al vissuto. Materiali cangianti (4 combinazioni in mostra dell’opera in alluminio/rame, bronzo/alluminio, bronzo/rame, alluminio/ferro) si congiungono con il più noto tra i segni-simbolo: la stella a cinque punte che capta pulsioni e irradia luce. La stella che consente di muoverci anche nel buio (della civiltà decadente) e di ritrovare la bussola. Immagine generata dall’uomo come simbolo vivo di ogni cultura millenaria. Miti e rappresentazioni simboliche dell’antichità sono pure il racconto dell’arte di Mimmo Paladino in mostra con Hortus conclusus e Testimone. Opere che richiedono una complessa lettura anche di natura antropologica. Le due opere sono accomunate dal medesimo approccio alla scultura carica di motivi simbolici ed evocativi di figure per certi versi magiche e in parte umane. Hortus conclusus fa proprio il topos della cultura medievale in cui è associata l’idea del giardino a quella di figura ascetica e totemica: colonne animate, capaci di creare un dialogo tra dimensione terrena e ultraterrena. Alla stregua di un reperto di un’antica civiltà. Silenzioso, sospeso e arcaico (l’opera) il Testimone si colloca in mostra come un Kouros greco d’epoca contemporanea, come immagine-simbolo enigmatica.
Arte povera come ricerca analitica e concettuale, come dialogo con la natura: Penone riconnette in mostra lo spettatore con il respiro della natura, con il rapporto tra il nostro essere e l’universo naturale. Tema centrale dell’opera in mostra intitolata Trentatré erbe. Una forma-libro che si configura oltre l’originaria fruizione tattile tipica del libro di artista. Proposta in uno sviluppo installativo, realizzato per cogliere la poesia visiva, associata ad immagini che vanno fruite facendo leva su una sensibilità che può cogliere lo sviluppo molteplice della natura. In questo caso delle foglie. Trentatré litografie esistenziali a cui l’artista associa le foglie corrispondenti alle varie tipologie di piante per evocare un ritmo della natura in cui le condizioni iniziali si evolvono grazie a continue variazioni che possono determinare anche grandi cambiamenti nel procedere del tempo. Per ricordare che in natura passato e presente non cessano l’uno nell’altro ma vivono l’uno nell’altro. Opere d’arte in mostra che non sono espressione di una fuga dal mondo. Arte che affronta il grande tema del sentimento religioso non come liberazione dal mondo. La scultura in mostra di Claudio Parmiggiani, glorifica la trascendenza come piega dell’immanenza. Il tema è affrontato con un approccio secondo il quale occorre leggere la dimensione spirituale della materia ossia occorre fare “evaporare il spirituale dalla materia. L’arte di Parmiggiani rende visibile l’invisibile. Così l’artista affronta e risolve il grande quesito dell’incarnazione. Il divino è tutto il mondo, non è aldilà del mondo”. Il sentimento dell’assoluto richiede approfondimenti che puntano in mostra a fare emergere considerazioni profonde, scomode talvolta, senza rimandi a semplificazioni. Considerazioni che vanno affrontate per essere rivolte, senza lasciare residui, per dare sostanza alle ombre consce e inconsce.
The Black Supper di Andres Serrano: l’ultima cena dopo Leonardo è l’opera esposta in mostra in cui umano e divino, terreno e celeste dialogano per riconciliare la vita carnale e quella spirituale. The Black Supper pone la necessità di comprendere la natura della spiritualità contemporanea, tenendo conto anche del lato oscuro dell’esistenza umana per cogliere la realtà delle ombre e la profonda inquietudine generata dalla concretezza di violenza, dalla mancata attenzione verso gli ultimi, di coloro che sono tenuti ai margini. Opera inserita nella mostra .ЯƎ per ricordare che il messaggio di Cristo richiede una visione intensa e introspettiva. Ciò che fa Serrano in The Black Supper per ricordare al mondo gli orrori che Cristo ha attraversato svincolando la sua immagine da quelle immagini stereotipate e da atteggiamenti religiosi banalmente esteriori. La Fondazione Federico II ha individuato opere che recuperano e danno respiro a grandi temi, ivi compreso il concetto di arcaicità come ponte tra due mondi e come tentativo dell’uomo contemporaneo per recuperare le visioni di quel mondo che vive in noi. Simboli del passato che riprendono vita tramite la lunga linea del tempo e di tradizioni ancestrali. Rongorongo è l’pera di Tania Pistone dove la scrittura ancestrale diviene protagonista di una composizione che in una tessera dorata (l’opera si caratterizza per un fondo dorato) di un mosaico (la complessità dei linguaggi) crea un bassorilievo dove l’essenzialità dei segni è generativa di nuovi linguaggi e di nuovi contenuti. “L’alfabeto possibile” diviene potente e generativo di infinite combinazioni e si trasforma in meta scrittura. Scrittura come esercizio di riflessione e meditazione, così come avviene nella scrittura svolta dal monaco che è anch’essa esercizio meditativo. Un vero e proprio palinsesto di ascendenza medievale. Cortocircuiti voluti e pensati in mostra tra apparenti separazioni di linguaggi alti e bassi. L’immediata dimensione ludica e infantile dell’opera Ballon dog di Jeff Koons. Opera-icona di Koons. Un vero e proprio feticcio del rapporto dell’arte con la vita che riattiva il ruolo della scultura attraverso la relazione fra l’oggetto infantile decontestualizzato e lo spazio che ingloba grazie alle superficie specchianti per questo inclusive e democratiche. Una lucentezza che esprime insieme fragilità e potenza nel rendere eterno il respiro dell’uomo. E ancora: armonia, equilibrio, introspezione che trae spunto dai grandi maestri capisaldi della pittura italiana nella salda convinzione che l’idea, lo schema concettuale è più importante della forma stessa dell’arte. Lo schema costruttivo più importante dell’opera finale. Sol Lewitt esprime la sua idea di arte concettuale: è l’idea che crea materia. L’idea libera l’arte dalla sottomissione della materia. Forme semplificate, essenziali. Sculture come strutture primarie: un minimalismo che riscopre un nuovo rapporto con lo spirito, il volume e le superfici. .ЯƎ è la mostra voluta dalla Fondazione Federico II per affermare la convinzione che l’arte e la cultura forse non salveranno il mondo ma ci salveranno dall’atrofia della coscienza.