PALERMO. COME NON L’ABBIAMO MAI CONOSCIUTA. UNA DESCRIZIONE MINUZIOSA, QUASI SURREALE.
IN UNA SOLA OPERA RAFFIGURATI PIÙ DI 700 FEDELI, 24 PALAZZI E 28 “MACCHINE” PROCESSIONALI.
IL QUADRO, FINALMENTE, GIUNGE DA SIVIGLIA DOPO UN LUNGO RESTAURO.
DAL 14 DICEMBRE A PALAZZO REALE.
1693. Il Terremoto. La Santa. La Processione. Palermo
Dal Palacio de las Duenas di Siviglia al Palazzo Reale di Palermo. Per la Processione di Santa Rosalia, opera di fine Seicento di un pittore siciliano confluito nella collezione della Duchessa d’Alba (di proprietà della Fundacion Casa de Alba di Madrid) poco prima del suo definitivo allontanamento da Palermo per la Spagna, un viaggio interstorico e interculturale dalla Spagna alla Sicilia. Uno sforzo che sottolinea, ancora una volta, il nuovo corso promosso dalla Fondazione Federico II volto alla cooperazione e al dialogo interistituzionale a livello nazionale e internazionale. L’opera, per la prima volta in Italia, occuperà il suo posto all’interno del percorso espositivo. Giunge a Palermo, dopo un attento e lungo restauro, stimolato dalla volontà della Fondazione Federico II di averlo in mostra. Il dipinto è più di una descrizione minuziosa degli edifici religiosi, civili e pubblici. Molto di più di un racconto sul culto devozionale di Santa Rosalia in tutto il mondo. È la prova pittorica della magnificenza del Regno di Sicilia e della sua capitale Palermo. L’arte si sostituisce alle parole e comunica con la sua forza dirompente utilizzando il registro linguistico della religione perché tutti possano “vedere, ascoltare e sentire”.
Una città ideale in festa
“Il quadro configura una suggestiva città ideale della festa, con quattro file parallele di edifici davanti a cui si svolge l’interminabile corteo religioso. Non è una veduta reale bensì una veduta composta in modo artificiale, un paesaggio di palazzi pubblici e aristocratici, disposti senza un ordine topografico e alternati a nove facciate ecclesiastiche “moderne”, realizzate tra Manierismo e Barocco (fino alle opere di Giacomo e Paolo Amato) e tutte limitate all’organismo chiesastico, con omissione dei conventi. La città viene rappresentata come una sorta di corteo di pietra, con le quinte di edifici in alta uniforme e le emergenze delle facciate chiesastiche selezionate per la loro modernità. Il silenzioso dispiegamento delle fabbriche ne esalta la potenzialità di luoghi di osservazione dello spettacolo festivo. I palazzi vengono scelti anche per la loro ampia disponibilità di balconi come palchi teatrali; anche alcune chiese esibiscono in facciata i loggiati e le altane riservati agli ecclesiastici. Si tratta evidentemente del quarto giorno della processione di S. Rosalia il 15 luglio. La processione si snoda serpeggiante su tre registri paralleli, comprendenti – dopo il reliquiario e prima di sedici “bare” con statue di santi su semplici basamenti – dodici carri più o meno complessi, con ripiani digradanti, incentrati su baldacchini o edicole e coronati da statue di santa rosalia e di altri santi”.
Professore Marcello Fagiolo
Storico dell’arte e storico dell’architettura italiana
Brano tratto da ROSALIA eris in peste patrona – Il catalogo
In un quadro la magnificenza del Regno di Sicilia
“La particolareggiata rappresentazione urbana di Palermo fa da sfondo alla processione di un’argentea arca-reliquiario. Nel 1693 il canonico Pietro Mataplana pubblica la traduzione dal castigliano all’italiano dell’opera agiografica su santa Rosalia del padre Giovanni da San Bernardo. Al testo l’autore aggiunge in appendice una “Sommaria Relazione de’danni cagionati da’ Terremoti in Sicilia” dove, dopo avere descritto i danni e contati i morti in tutte le provincie della Sicilia, mette in evidenza che a Palermo, non vi è stata vittima alcuna. Il soggetto dipinto nel quadro della collezione Alba, costituisce l’unica rappresentazione nota della processione delle reliquie di santa Rosalia, così come è descritta anche nel ragguaglio del festino di ringraziamento del 1693. L’ignoto pittore, memore probabilmente di quella straordinaria edizione del Festino ce la restituisce calandola all’interno di una Palermo Capitale del Regno rappresentata dalla selezione delle costruzioni modernamente compiute, scampate al pericolo della totale distruzione dal terremoto, e questo grazie alla protezione di santa Rosalia. Pertanto, il dipinto potrebbe rientrare in un più articolato progetto di valorizzazione dell’immagine del Regno di Sicilia e della sua capitale Palermo, progetto avviato nel 1686 dal Teatro geografico antiguo y moderno del reyno de Sicilia promosso dal viceré Francesco Benavides con il supporto dell’editore palermitano Carlo Castiglia”.
Ciro D’Arpa
Storico dell’arte
Brano tratto da ROSALIA eris in peste patrona – Il catalogo
La Palermo che non abbiamo conosciuto
L’opera ci farà scoprire edifici non più esistenti. Ci riferiamo al Palazzo di Carini che si trovava in corso Vittorio Emanuele di fronte la Cattedrale, dove attualmente è la libreria delle Paoline e alla Chiesa delle Stimmate distrutto insieme alla Badia di S.Giuliano per creare il piano del Teatro Massimo.
Edifici che hanno resistito al terremoto e alle trasformazioni
Tra questi ci sono: l’Ospedale di S. Bartolomeo (oggi Istituto Nautico); il Palazzo della Città, (oggi Palazzo Pretorio); la Chiesa di Santa Teresa, attuale chiesa esistente nella piazza Kalsa; il Tribunale Sacro di Sicilia, (oggi sede del Rettorato); la Vicaria, (attuale Palazzo delle Finanze); la Chiesa della Pietà, ancora esistente chiesa in via Torremuzza alla Kalsa; il Palazzo del Principe di Villafranca, esistente Palazzo Alliata di Villafranca in piazza Bologni; la Badia del SS. Salvatore; esistente in corso Vittorio Emanuele di fronte la Biblioteca regionale; il Palazzo del Principe della Roccella esistente in corso Vittorio Emanuele di fronte il Liceo classico Vittorio Emanuele; la Chiesa di S. Matteo, esistente in corso Vittorio Emanuele tra la via Roma e la via Maqueda; il Palazzo del Duca della Fabbrica, esistente in corso Vittorio Emanuele di fronte la cattedrale tra le Paoline e Palazzo Asmundo; il Collegio Novo ex S. Maria della Grotta annessa all’ex Collegio Massimo dei Gesuiti, esistente, in corso Vittorio Emanuele dove oggi è l’ingresso della biblioteca regionale; il Palazzo del Conte di San Marco ancora esistente, oggi Palazzo Mirto; la Badia delli Virgini, (oggi chiesa di Monteoliveto in via dell’Incoronazione); il Palazzo del Duca di Branciforti attuale palazzo Branciforte; il Palazzo del Principe della Cattolica ancora esistente in via Paternostro; la Chiesa dell’Olivella esistente nella piazza omonima; il Palazzo Tarallo, esistente nel quartiere dell’Albergheria, in via delle Pergole; il Palazzo Geraci in corso Vittorio Emanuele, attuale Palazzo Riso; la Cattedrale senza le trasformazioni progettate da Ferdinando Fuga (cupola, campanile del 1726); il Palazzo Arcivescovile attuale Palazzo Arcivescovile.
INFORMAZIONI
Ingresso da Piazza del Parlamento
Orari
Da lunedì al sabato dalle ore 8.15 alle ore 17.40
(ultimo biglietto ore 16.40)
Domenica e festivi dalle ore 8.15 alle ore 13.00
(ultimo biglietto ore 12.00)
Costo biglietti
Ingresso solo mostra
Intero € 6,00
Ridotto
– Ragazzi di età compresa tra 14/17 anni
€ 3,00
– Studenti in visita didattica scolastica
€ 1,00
Ingresso solo Giardini Reali
Tutti i giorni € 2,00
Ingresso mostra, Cappella Palatina e Appartamenti Reali
Da venerdì a lunedì e festivi e quando gli Appartamenti Reali sono visitabili
Intero € 12,00
Ridotto € 10,00
Ingresso mostra e Cappella Palatina
Da martedì a giovedì e quando gli Appartamenti Reali non sono visitabili
Intero € 10,00
Ridotto € 8,00
Hanno diritto al biglietto ridotto gli insegnanti di ruolo e i ragazzi di età compresa tra i 18 e i 25 anni.
Costo biglietti ridotti tutti i giorni
Cittadini di età pari o superiore ai 65 anni
€ 8,00
Ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni
€ 4,00
Studenti in visita didattica scolastica
€ 2,00
La Mostra
La Mostra ripercorre uno dei momenti più critici della storia di Palermo: il lasso di tempo di cinquant’anni che vede la città colpita da due terribili pestilenze, nel 1575-76 e nel 1624; la popolazione inerme e decimata cerca conforto e protezione nei tradizionali Patroni, le Sante cinque Vergini Palermitane, i Santi Rocco e Sebastiano cui subito si aggiunge in quegli stessi anni anche San Carlo Borromeo, grazie al culto introdotto in città dalla ricca “Nazione” mercantile dei Lombardi. Ma nel 1624, allo scoppio di una pestilenza ancor più devastante, il ritrovamento dei sacri resti sul Monte Pellegrino di Rosalia, romita palermitana vissuta nel Medioevo, e la contemporanea immediata cessazione del morbo, fanno sì che a lei vengano riconosciuti speciali poteri taumaturgici, da farla acclamare unica patrona contro il terribile morbo.
Il trionfo del culto, immediatamente diffusosi grazie ai Gesuiti e ai Francescani in tutta Europa, ma non solo, impone subito scelte precise sull’iconografia della Santa, cui darà contributo particolare Anton Van Dyck, il grande pittore fiammingo trovatosi a Palermo in quei tristi frangenti.
Su tali presupposti, la mostra si snoda attraverso un percorso che partendo dalla devozione ai Santi Patroni tradizionali, esemplificata da una serie di importanti dipinti e sculture cinquecentesche realizzate in quegli anni, arriva sino al trionfo del culto di Rosalia quale unica patrona, configurato da altrettante opere, soprattutto pale d’altare, commissionate ad artisti famosi, come Anton Van Dyck, Pietro Novelli, Vincenzo La Barbera e Mattia Preti. Ai dipinti e alle sculture si affiancheranno numerosi disegni preparatori dei grandi dipinti, opere d’arte decorativa, materiali a stampa e d’archivio.
Il culto di Santa Rosalia non è, fatto esclusivo, della storia e delle tradizioni siciliane. La Fondazione Federico II con questa mostra ne sottolinea, dopo attente e dettagliate ricerche, quell’elemento che la vede travalicare i confini dell’Isola. È nel rapporto con la “Nazione” dei lombardi che se ne trova una delle massime espressioni. L’Alta Lombardia, tra il XV e il XIX secolo, fu caratterizzata da un processo emigratorio verso la città di Palermo. Un flusso che si sviluppò, principalmente, nel Seicento. Ciò che ne venne fuori fu una collaborazione volta alla raccolta di offerte in danaro destinate all’acquisto di beni materiali da inviare alle comunità ecclesiali di origine. Fra i doni, si annoverano varie suppellettili sacre in argento, ancor oggi conservate nelle chiese lombarde.
Continua, senza sosta, l’azione promossa dalla Fondazione Federico II, in sinergia con l’Assemblea Regionale Siciliana, il Dipartimento Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, la Soprintendenza per i Beni Culturali e l’Arcidiocesi di Palermo volta alla tutela del patrimonio storico artistico, nel più stretto significato, di restituire la nostra storia, la nostra cultura, le nostre arti e i nostri saperi a tutta la comunità, in particolar modo alle nuove.generazioni.
Gallery
Una mostra fuori dalle logiche di prodotti preconfezionati
“Questa mostra fa emergere la grandezza di Santa Rosalia in grado, non solo di guarire gli appestati, ma di fare un altro miracolo: unire territori che sotto altri aspetti sono molto distanti. La devozione per la Patrona persino nell’Alta Padana è un messaggio inconfutabile di stretta attualità. E se la devozione per Santa Rosalia da Sud a Nord è la prova e l’auspicio che la religione unisca, anche l’arte ancora una volta crea collegamenti impensabili al di là dei confini geografici e delle divisioni. Questa mostra inoltre ha il pregio di essere una prima assoluta. La Fondazione Federico II continua a rifiutare le mostre pacchetto chiavi in mano, uscendo dalle logiche del prodotto confezionato. Si tratta di mostre uniche, costruite per l’occasione con tanto lavoro e la collaborazione interistituzionale con l’intenzione, non facile ma certamente ambiziosa, di generare un processo culturale, che in questo caso riguarda la nostra amata Patrona. Ma c’è di più Rosalia è tornata a casa dal portone principale. L’inaugurazione della mostra a Palazzo Reale, dove Rosalia Sinibaldi abitò, coincide infatti con l’apertura dopo tempo immemore del Portone Monumentale Vice Regio seicentesco, che dà il via al nuovo percorso turistico di uno dei siti più visitati in Sicilia e in vertiginosa crescita. I visitatori, finora entrati da un ingresso defilato, posso finalmente accedere da Piazza Parlamento, situata nel cuore dell’itinerario arabo normanno Patrimonio dell’Unesco. Ad accoglierla la mostra, un’edicola votiva che rimarrà all’interno del palazzo, ma anche “R”, lo spettacolo a lei dedicato che mi ha emozionato e ha riscosso il gradimento del pubblico e della critica”.
Gianfranco Miccichè
Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana
e della Fondazione Federico II
Rosalia, una Santa femmina e internazionale
“In un momento storico-politico in cui si tira la giacchetta alla nostra gloriosa carta costituzionale dovremmo, come un faro, tenere a mente il presupposto dell’articolo 9 che promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e la tutela del Patrimonio. Proprio su questo ultimo punto la Fondazione Federico II ha scelto di investire risorse e energie incanalandole nella realizzazione della mostra Sicilië, pittura fiamminga e ora in Rosalia eris in peste patrona. Il collante di tutto questo lavoro sta nella cooperazione culturale e nella valorizzazione dei Beni Culturali in sinergia con le altre Istituzioni presenti sul territorio italiano e straniero. Un’azione volta a promuovere mostre su temi specifici restituendo valore e centralità al metodo adoperato dai curatori, ai criteri storiografici adottati e agli sforzi interpretativi. Un passaggio che, negli ultimi anni, è stato abbondantemente trascurato. È indubbio quanto sia più facile evitarsi la fatica della campagna prestiti di dipinti e sculture disseminate nei territori. Siamo stati, già per la mostra Sicilië, pittura fiamminga e adesso per Rosalia eris in peste patrona, controcorrente. Abbiamo invertito la rotta. Il nostro è un metodo di lavoro più difficile, complesso ma di profonda trasformazione e risultati straordinari. Tanta fatica e altrettanta energia impegnata nella ricerca e nello studio ci hanno regalato una sorpresa: scoprire quanto la grandiosità delle opere attorno alla Santa e alla sua devozione non sia un fatto esclusivo della storia e delle tradizioni siciliane. Questa mostra ne sottolinea, dopo attente e dettagliate ricerche,infatti, quell’elemento che la vede travalicare i confini dell’Isola. Un miracolo, quello dalla liberazione dalla peste, compiuto nel capoluogo siciliano che fece il giro del mondo: colpiti dalla peste nel Seicento, alla Santa si affidarono cittadini di San Paolo del Brasile, di Caracas in Venezuela, di Monterey in California. Una popolarità che non ha mai avuto confini con un merito, più di altri artisti, che spetta ad Anton Van Dyck; contribuendo in questo modo a diffondere il culto di una Santa internazionale. Quello per Santa Rosalia è un culto così radicato nel territorio che finisce con il conquistare una tale forza comunicativa capace, nei secoli, di delineare un tratto fortemente diffusivo. La Patrona di Palermo racchiude in se un alto valore simbolico, significativo e fondante di una certa religiosità che, andando oltre tradizione, valorizza la dimensione ascetica pur mantenendo, nello stesso tempo, un ruolo concreto nei confronti della cittadinanza. Riappropriarsi della figura di Santa Rosalia rappresenta un’urgenza per stimolare la ricerca e la Fondazione Federico II se ne è intestata la paternità, anche delle radici storiche e culturali di Palazzo Reale”.
Patrizia Monterosso
Direttore Generale della Fondazione Federico II
Una rigorosa e fedele ricostruzione storica
“Rosalia Sinibaldi, nobile fanciulla palermitana del XII secolo, dalle presunte origini normanne, divenuta nel Seicento patrona di Palermo, torna a rivivere nelle sale del Palazzo Reale, dimora della sua giovinezza, secondo la leggendaria biografia fra mito e storia. Alla Vergine eremita che salvò il capoluogo siciliano dalla peste è dedicata infatti la grande mostra, curata da Vincenzo Abbate, che sarà inaugurata il prossimo 4 settembre, nel giorno del diesnatalis della Santa, proprio nelle sale del Duca di Montalto del Palazzo dei Normanni. Preziosa sinergia fra il Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana e la Fondazione Federico II in questa iniziativa originale e inedita che restituisce al pubblico un percorso di lettura articolato e complesso volto a coniugare il passato e il presente in una molteplicità di registri espressivi. L’intento è quello di una rigorosa ricostruzione storica allo scopo di ripercorrere, a partire dalla peste del Seicento, le tappe più significative di un culto plurisecolare che diviene simbolo della municipalità e della rinascita urbana ad opera dei gesuiti. La straordinaria efficacia simbolica della Santuzza palermitana è testimoniata dal vasto patrimonio figurativo di artisti come Pietro Novelli, Vincenzo La Barbera, Antoon Van Dyck che alla Santa dedicò, durante il suo soggiorno a Palermo, un ciclo di opere oggi custodite alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo, al Metropolitan Museum di New York, ad Anversa, a Vienna, al Museo di Portorico, ma anche come Luca Giordano i cui quadri sono esposti al Museo del Prado e Bartolomè Esteban Murillo al Museo Thyssen di Madrid, solo per citare alcuni fra i più importanti. Opere di provenienza non solo siciliana vengono presentate al pubblico nell’intento di far conoscere la straordinaria diffusione di Santa Rosalia, immortalata non soltanto nelle grandi opere figurative e scultoree, ma anche in un’infinita varietà di oggetti devozionali della vita quotidiana. Nell’anno in cui Palermo è proclamata capitale della cultura, questa mostra si pone come la riproposizione di un mito che si rinnova ogni anno con la sfilata del carro trionfale durante il Festino di Luglio e la grande processione religiosa delle reliquie nell’urna d’argento, nonché con l’acchianata al sacro Montepellegrino nel mese d settembre, configurandosi, in ultima analisi, come l’espressione più rappresentativa della memoria collettiva, quasi un totem dell’identità culturale di Palermo”.
Sergio Alessandro
Dirigente Generale del Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Oltre la dimensione ascetica il legame concreto con il popolo
“La devozione a Santa Rosalia racchiude in sé un carattere fortemente comunicativo e prova ne sono i tempi rapidi della sua canonizzazione e della sua acclamazione a Patrona di Palermo. Il riconoscimento quale santa protettrice della città spettò a Rosalia quasi di diritto, considerato il grave e luttuoso contesto storico nel quale la peste a più riprese decimò il popolo a partire dal 1624. Il merito è da ascrivere all’Arcivescovo genovese Giannettino Doria, che riuscì a stabilire uno stretto legame trail ritrovamento delle ossa femminili nella grotta sul Monte Pellegrino e l’esaurirsi dell’epidemia di peste nera a seguito della processione dell’urna con i resti mortali della Santuzza. Nel 1625 Rosalia venne proclamata patrona di Palermo dal Senato cittadino e per acclamazione popolare, divenendo subito il punto di riferimento per tutta la città e oscurando per sempre il ruolo delle quattro Sante antiche, copatrone fino a quel momento: Ninfa, Oliva, Agata e Cristina.
Nel 1630, grazie alla popolarità raggiunta della “Santuzza”, il Doria riuscì ad ottenere da Papa Urbano VIII, del quale il Cardinale era stato uno dei grandi elettori, l’inserimento di Rosalia nel Martirologio Romano, a definitiva conferma della conclamata santità della patrona.
La Santuzza assunse in seguito anche un ruolo strategico anche nell’ambito della politica spagnola: la Rosalia guerriera in aiuto al re cattolico fu utilizzata quale “instrumentum regni” per debellare ad esempio gli insorti Catalani. In breve tempo il culto alla santa divenne così radicato e di grande forza comunicativa da acquistare nei secoli un marcato tratto diffusivo. La Santa palermitana che vive nel contesto della città viene presa a modello come sostegno per liberare altri luoghi dalla peste. Ritroviamo nella devozione a Rosalia un valore simbolico molto forte, significativo e fondante di un tipo di religiosità che valorizza la dimensione ascetica che mantiene, al contempo, un legame concreto, umano, nei confronti del popolo. Palermo aveva già una lunga esperienza secolare del ruolo sociale delle donne di clausura sulla città. Nel Monastero di Santa Caterina d’Alessandria al Cassaro vivevano moniali di nobili casati che, nonostante la stretta clausura papale, esercitavano una grande influenza sulla vita politica e sociale della città. Giannettino Doria, riconoscendo il ruolo determinante che le monache domenicane avevano assunto nella storia e nello sviluppo economico e sociale della città, nell’ambito della proclamazione di Rosalia quale patrona di Palermo, fece dono al monastero di una reliquia della santa, quasi a sigillare che la Santuzza, nobile donna, eremita, nuova patrona della città, dall’alto del Monte Pellegrino, sostituiva il ruolo che per secoli era appartenuto alle nobili monache di clausura del Monastero di Santa Caterina, sito accanto al palazzo di città. Nella diffusione della devozione alla Santuzza grande importanza ebbe anche la straordinaria produzione iconografica delle immagini dipinte, incise, scolpite della santa a partire dal 1624. La mostra “Rosalia eris in peste patrona”, frutto della collaborazione dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Palermo con l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, la Direzione della Fondazione Federico II e la Soprintendenza di Palermo, costituisce un’operazione di grande intuito e spessore culturale, espressione di nuovo modo di intendere la promozione e la fruizione del patrimonio culturale. La Santuzza scende dal monte Pellegrino e torna al Palazzo Reale, in quella che, stando ai racconti storici e agiografici, di Rosalia Sinibaldi fu la sua prima dimora. Ritengo costituisca un valore aggiunto il fatto che gli Enti pubblici, in modo coraggioso, abbiano scelto di non allestire una facile mostra alla moda, creando concorrenza con strutture private, ma abbiano investito risorse umane e economiche per far conoscere al mondo quello che questa terra possiede e nel farlo abbiano operato in sinergia tra tutte le realtà istituzionali”.
Padre Giuseppe Bucaro
Direttore Beni Culturali Arcidiocesi di Palermo
L’arte per cogliere il profondo legame che Palermo ha con la sua Patrona
“Il culto di S. Rosalia a Palermo affonda le sue radici in un particolare rapporto di devozione e amore con la propria Patrona, frutto di una fede semplice: per secoli, la città aveva cercato una santa che incarnasse nella propria storia un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, senza però riuscire a trovarla. All’inizio del ‘600 si contavano a Palermo sei santi patroni,Ninfa, Fabiano e Sebastiano, Agata, Cristina e Rocco che, pur avendo avuto in diverse occasioni un ruolo importante nella devozione cittadina, non erano però riusciti ad entrare nel cuore degli abitanti. Anche nel 1624 la città, afflitta dall’ennesimo contagio di peste, si rivolge ai suoi patroni con una grande processione per chiedere la liberazione dall’epidemia ma senza successo e, proprio durante il corteo, il 15 luglio, padre Pietro Garofalo narra che dal popolo si leva l’invocazione a Santa Rosalia e lui stesso, senza sapere che su Monte Pellegrino erano statetrovate le sue ossa, segue una «interna ispirazione» a invocarla. Alcuni giorni dopo viene fatta sfilare l’immagine di S. Rosalia e la peste cessa del tutto in città e già l’anno successivo viene celebrata la prima grande festa in suo onore. Il culto di S. Rosalia nasce dunque dal sensus fidei del popolo palermitano che, riconoscendo per intuito della fede la sua santità, la invoca nella prova, nella certezza che i Santi «sono i veri portatori di luce all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (Deus Caritas est, 40). É il sensus fidei, cioè la personale attitudine che i credenti posseggonoall’interno della comunione ecclesialedi discernere la verità della fede, che ha permesso di creare immediatamente un legame tra la santa e i palermitani, frutto non di astratte speculazioni teologiche ma di autentica pietà popolare che «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere» (Evangeliinuntiandi, 48). Proprio questo legame con la pietà popolare ha consentito alla nostra città di inculturare il Vangelo nella quotidianità, in una realtà dinamica costantemente ricreata dal popolo e trasmessa di generazione in generazione. Come ci ricorda Papa Francesco: «Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che “il popolo evangelizza continuamente sé stesso”. Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista» (Evangelii Gaudium, 122). L’acchianata al monte Pellegrino, così sentita e partecipata ogni anno, è espressione eloquente di questa fede del cuore, capace di affidarsi con semplicità e autenticità al Signore che tutti accoglie, ma anche testimonianza di fede che diventa annuncio missionario in un mondo che sembra sempre più distante e distratto. Nel cammino verso il Santuario ogni fedele fa esperienza della nostra vita cristiana fatta di realtà accidentate, prove e fatiche da superare ma anche di condivisione, testimonianza, fraternità e certezza della meta da raggiungere. All’arrivo, la grottapermette al pellegrino di percepire e fare propria la forza della preghiera fiduciosa in Dio capace di sconfiggere il male riuscendo a illuminare anche le oscure profondità della terra. I tanti ex voto presenti nel Santuario sono l’attestazione di come il Signore non si stanca di ascoltare la preghiera fiduciosa dei suoifedeli e per l’intercessione di Santa Rosalia continua a compiere segni e prodigi in mezzo al suo popolo liberandolo dal male in una rinnovata esperienza pasquale. In questo modo tutti i cristiani «sono resi capaci di comprendere, vivere e annunciare le verità della rivelazione divina» (Lumen Gentium, 35). L’iconografia, che per secoli ha continuato ad alimentare e fare vivere questa fede del popolo e che trova mirabile sintesi nella presente mostra, ci aiuta a cogliere il profondo legame che Palermo ha con la sua Patrona, ma soprattutto ci offre una preziosa occasione volta a riscoprire la nostra fede non solo nella sua dimensione personale ma soprattutto nella sua dimensione ecclesiale e comunitaria. In questo senso la dimensione popolare della fede diventa espressione della sua cattolicità, capace di superare i conflitti attraverso una cultura dell’incontro e della solidarietà che non elimina le differenze ma le armonizza. Possa la nostra amata Città essere ancora arricchita e sostenuta dalla feconda fede del suo popolo”.
Corrado Lorefice
Arcivescovo Metropolita di Palermo
L’immagine della Santa e un vivace dibattito sulla sua iconografia
“La narrazione artistica su Santa Rosalia e il suo culto non poteva non includere alcune considerazioni sulla peste e sulle cause che decimarono intere popolazioni dell’Europa. Abbiamo, prima di tutto, scelto di farlo attraverso i trattati dell’epoca e le angoscianti immagini di morte o delle partecipate processioni penitenziali, per come ci sono state tramandate dalla pittura devota del Cinque e del Seicento, in quelle pale d’altare, veri e propri ex-voto realizzati per la sospirata grazia ottenuta tramite i Santi tutelari. La mostra si sviluppa lungo un percorso che partendo da opere in scultura e pittura a testimonianza concreta del vasto culto tributato ancora nel Cinquecento ai Santi taumaturghi canonici contro la peste arriva negli anni venti del Seicento a Rosalia. Sarà, proprio, Rosalia Sinibaldi che per divina volontà fu proclamata unica salvatrice grazie all’accorata sua intercessione presso il Trono celeste che, stando alla bella invenzione di Pietro Novelli, il più grande pittore siciliano del Seicento, nella bella pala dedicatoria di Castiglione delle Stiviere le concederà ufficialmente il titolo: ERIS IN PESTE PATRONA. Un discorso sulla peste non poteva prescindere dalla presenza in mostra di opere significative, utili a far entrare il visitatore nel vivo di particolari situazioni ed eventi di quegli anni terribili: come la veduta della Cala, l’antico porto per antonomasia della città, da sempre primo e immediato luogo di attecchimento del contagio per l’approdo continuo di galere, galeotte e tartane, spesso infette, di svariata provenienza; ma anche un’affollata processione penitenziale per impetrare definitivamente la grazia divina (e la scelta non poteva non cadere su quella raffigurata nella tavola ex-voto di Simone di Wobreck, tenutasi la notte del 29 luglio 1576 con la partecipazione del Duca di Terranova, Presidente del Regno, dei dignitari, del clero e di tutte le confraternite laicali al seguito del venerato Crocifisso della Cattedrale); e ancora una grande croce processionale, la Croce che di norma nei momenti di sentita contrizione e pentimento dai peccati diventa simbolo e faro inequivocabile di salvezza e redenzione. Questa mostra, inoltre, vanta, per la prima volta, della presenza della grande croce astile di Livo (Como), capolavoro dell’argenteria palermitana del Cinquecento, commissionata al locale consolato cittadino degli argentieri dalla fiorente e ricca comunità lombarda dell’Alto Lario residente in città. L’immagine di Santa Rosalia, nei primordi proprio perché concernente la nuova Patrona unica della città metropoli, si contraddistingue da un vivace dibattito sulla sua iconografia, certamente di non facile soluzione, se di semplice romita e anacoreta vestita di rude saio, come andavano sostenendo i movimenti pauperistici francescani, o di monaca dal nobile aspetto sotto la regola rigida di un ordine claustrale, come pretesero soprattutto Gesuiti e Benedettini sulla traccia di antiche raffigurazioni esistenti in loro illustri monasteri cittadini di clausura”.
Vincenzo Abbate
Storico dell’arte e museologo
In mostra esemplari pittorici e plastici di altissimo rilievo
“La Mostra rende omaggio alla veneratissima Santa patrona della città di Palermo, la cosiddetta Santuzza, ripercorrendo, attraverso oltremodo preziose testimonianze artistiche, una fase storica cruciale della città, quando già sul finire del Cinquecento la popolazione veniva periodicamente decimata da devastanti epidemie di peste. La prima già nel 1575, a cui seguirono anni di carestie e siccità in cui i palermitani inermi cercavano conforto e protezione nei tradizionali santi protettori, le Sante cinque Vergini Palermitane, i Santi Rocco e Sebastiano cui subito si aggiunse negli stessi anni anche San Carlo Borromeo, grazie al culto introdotto in città dalla ricca Nazione mercantile dei Lombardi. I visitatori sono accolti in mostra proprio da esemplari pittorici e plastici di rilievo recanti note raffigurazioni dei cosiddetti “Santi della peste”, insieme ala presenza inedita di una croce argentea della fine del Cinquecento impreziosita da smalti proveniente da Livo, nel comasco terra d’origine di una folta comunità di lombardi trapiantati a Palermo che la commissionarono ad abili maestranze locali. Nel 1624, allo scoppio di una pestilenza ancor più devastante, il ritrovamento dei sacri resti sul Monte Pellegrino di Rosalia, giovane nobildonna vissuta in età normanna, e la contemporanea immediata cessazione del morbo, fanno sì che a lei vengano riconosciuti speciali poteri taumaturgici, da farla acclamare quasi subito unica patrona della città.
Il trionfo del culto impone subito scelte precise sull’iconografia della Santa, cui darà contributo particolare Anton Van Dyck, il grande pittore fiammingo chiamato a Palermo in quei tristi frangenti dal vicerè Emanuele Filiberto di Savoia, codificando solennemente l’immagine della santa nella rinomata pala eseguita per l’altare dell’ Oratorio del Rosario in San Domenico.
La mostra quindi si snoda attraverso un coerente percorso segnato da significative opere, soprattutto pale d’altare, specificatamente richieste a rinomati pittori, quali oltre Anton Van Dyck, Vincenzo La Barbera e il monrealese Pietro Novelli, artista quest’ultimo che contribuirà maggiormente alla diffusione del culto della Santa anche fuori dall’isola. Autografe del Novelli sono infatti presenti in Sicilia per la prima volta due imponenti pale d’altare, provenienti una da Livo, l’altra da Castiglione delle Stiviere nel mantovano dove si riscontra, pur con le dovute differenze, la medesima iconografia della Santa intercedente presso la Trinità. Documentano parimenti la fervida devozione rivolta alla Santa le magniloquenti tele del calabrese Mattia Preti provenienti dal Museo di Capodimonte e da Malta, anch’esse per la prima volta esposte in Sicilia. Nello specifico due importanti bozzetti preparatori per affreschi che dovevano decorare le porte di accesso alla città di Napoli, presentano, in un’ambientazione naturalistica di grande impatto, la santa palermitana insieme a Gennaro ed altri santi, invocati dai cittadini napoletani per la peste che afflisse la città nel 1656, insieme alla rinomata pala della cosiddetta Madonna di Costantinopoli, originariamente collocata nella chiesa partenopea di sant’Agostino degli Scalzi. La Santa Rosalia in abiti francescani custodita presso la chiesa gesuitica di Sarria a Malta databile ai anni Settanta del XVII secolo, parte di un ciclo di dipinti presenti nella medesima chiesa dedicati ai santi protettori della peste, documenta pregevolmente l’abilità esecutiva del Cavalier calabrese, lungamente residente a Malta fino al termine dei suoi giorni. Concluderà il percorso un’importante tela, verosimilmente proveniente dalla Sicilia e mai esposta a Palermo, custodita presso la Fondazione del Duca d’Alba a Siviglia, raffigurante una solenne e articolata processione con l’urna della santa Patrona, attraverso una veduta a volo d’uccello da cui si evincono l’impianto urbano e le varie emergenze monumentali della città, tra lo scadere del Seicento e i primi anni del secolo successivo”.
Maddalena De Luca
Servizio Valorizzazione del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Le opere rafforzano il legame tra la figura della giovane santa e l’ambiente naturale
“L’immagine di Santa Rosalia elaborata dai pittori del naturalismo secentesco mostra spesso caratteri peculiari che si individuano nelle fattezze quasi adolescenziali della santa patrona, animate, almeno per quel che riguarda la pittura da un morbido chiaroscuro che si concentra morbidamente sul collo e sul volto estatico e che la luce diversifica in modi estremamente naturali. Queste caratteristiche che rendono al contempo estremamente schietta, umana e quasi quotidiana l’immagine della Santa si riscontrano anche nelle opere plastiche, tra le quali spicca la raffinata statua reliquiaria in argento proveniente dalla chiesa Madre di Caccamo.
Ed ancora, come non ricordare che l’immagine di santa Rosalia appare correlata ad alcuni luoghi simbolo della città di Palermo: il centro urbano cinto da mura con tutt’intorno la rigogliosa natura della Conca d’oro e dall’altro il Monte Pellegrino, quasi un simbolo della città a cui proprio la presenza di santa Rosalia attribuisce uno straordinario valore religioso. Qui Rosalia visse e qui furono ritrovati i suoi miracolosi resti mortali; così al sacro monte, nelle espressioni pittoriche in mostra rivolge l’attenzione la santa protettrice invocando la protezione e la benevolenza divina a favore dell’intera città. Da quanto sopra esposto si evince come le opere d’arte elaborate dai grandi pittori del Seicento e selezionate per la mostra rendono pregnante e vivido la correlazione tra la figura della giovane santa e l’ambiente naturale”.
Gaetano Bongiovanni
Funzionario della Soprintendenza Beni Culturali di Palermo e storico dell’arte